Proseguiamo nelle interviste “a distanza” a ex-residenti del Collegio RUI.
Oggi è la volta di Mario Ciampi, professore di Storia delle istituzioni politiche all’Università “Guglielmo Marconi” di Roma.
D: Parlaci un po’ di te.
R: Ho 44 anni, sono sposato e padre di quattro figli. Vivo a Roma da un quarto di secolo, ma sono originario di un paese del Gargano, una terra dall’identità forte. Ho sempre affiancato alla ricerca e alla docenza universitaria altre attività nella governance di aziende ed enti del terzo settore, passando per centri di formazione e fondazioni politiche. Appartengo alla “generazione transformer”, come mi piace definirla, quella che ha subito le più grandi trasformazioni culturali della storia moderna nel più breve lasso di tempo e che ha dovuto sperimentare sulla propria pelle (con un po’ di disillusione) l’evanescenza della società liquida e della precarietà, dopo essere stata allevata alle certezze del pensiero ideologico e del posto fisso.
D: Che ricordi hai della tua esperienza come residente?
R: Quando arrivai a Roma dalla Puglia nel 1995, trovai alla RUI un ambiente da subito molto familiare e stimolante. Venivo da un piccolo paese e avevo il ritmo lento e un po’ malinconico della vita di provincia. In residenza, ebbi modo di confrontarmi con idee diverse dalle mie, di allargare i miei orizzonti in quella fase cruciale della vita in cui si prendono decisioni fondamentali per il proprio futuro. Alla RUI eravamo costantemente portati a pensare in grande, a uscire dai nostri stretti recinti, a nuotare in mare aperto, a guardare il mondo con ottimismo e con senso di responsabilità.
D: Qual è stata, secondo te, l’esperienza più bella che hai vissuto?
R: Ricordo tanti ospiti interessanti che ci venivano a trovare spesso per trasferirci la loro esperienza. Corsi interni da organizzare, attività di volontariato, sport, ma soprattutto una quotidianità fatta di amicizia. Alla RUI non ti sentivi mai solo, nelle difficoltà come nei successi della vita universitaria.
D:Cosa ne pensi della situazione di emergenza che abbiamo vissuto negli ultimi mesi e che ancora stiamo vivendo?
R: Temo che all’emergenza dovremo in qualche modo abituarci. Il mondo evolve verso minacce più note e quindi più sentite dai governi e dai popoli. Alcuni studiosi prevedono uno stato di emergenza quasi permanente, una sorta di democrazia securitaria o immunitaria. Nel caso che stiamo vivendo, dovremmo sforzarci di essere più prudenti per contrastare il covid, ma senza rinunciare alla nostra umanità più profonda. Per chi è credente, forse è il tempo di vivere con più intensità la virtù della speranza, diffondendo buonumore e serenità in un mondo sempre più nevrotico.
D: Che ruolo può avere la politica nella vita di un giovane studente universitario?
R: La politica rimane ormai una scelta residuale per la vita di una persona. Il lavoro e la società sono diventati più esigenti e lasciano poco tempo per l’interesse generale. È bene che collegi come la RUI, insieme alla crescita nelle virtù umane, si pongano sempre più obiettivi educativi nelle virtù politiche. Sono per definizione serbatoi di nuove classi dirigenti. Non c’è solo una vocazione professionale da scoprire, negli anni universitari, ma anche una vocazione civile e forse politica. E, del resto, riflettere sulla politica significa capire le ragioni dello stare insieme, l’amicizia civile, il “miracolo” dell’unità nella diversità. Ma anche le esigenze di un sano patriottismo.
Grazie, Mario. In bocca al lupo per tutte le tue attività!